Vecchiaia come scoperta del provvisorio cosa significa

Ecco un proverbio antico che racchiude in poche parole un pensiero che fa della negatività invece, un passo positivo: la provvidenza, quel che toglie, rende; i nostri saggi antenati erano persone semplici e conoscevano il valore del tempo, del denaro e delle persone; erano tempi duri quelli in cui vivevano e per quanto semplici i loro pensieri erano frutto di una sapienza antica.

Il significato del proverbio

La provvidenza, quel che toglie, rende; un proverbio antico estremamente semplice e dall’animo positivo, i contadini incitavano a trovare il lato positivo anche nel momento in cui tutto sembra andare male. Significa che non ci si deve disperare se viene a mancare qualcosa perché la provvidenza sa bene quando togliere e quando far ottenere. Erano pensieri estremamente di fede, anche se non espressamente religiosa. In questi modi di dire c’è un Universo di saggezza antica, il quotidiano arcaico era pesante e se anche era realtà il fatto che tutti facessero del loro meglio, lo era anche scoprire che in famiglia a volte campeggiava un indolente, i proverbi e i modi di dire per incitare un pigro a muoversi e darsi da fare erano davvero molti. E nel caso di pigrizia, a volte un proverbio non bastava, in quel caso entrava in scena probabilmente il capofamiglia con metodi piuttosto drastici che lasciavano il segno.

Proverbi simili a la provvidenza, quel che toglie, rende

Sono moltissimi i proverbi antichi e i modi di dire in cui è nominata la provvidenza, come ad esempio le vie della provvidenza sono infinite che ci ricorda di non perdere mai la speranza, oppure quando il caso è disperato, la provvidenza è vicina anche in questo caso si vuole ricordare che non si è mai soli. Un altro bel proverbio antico, che fa riferimento alla provvidenza ma incita a non restare fermi è provvedi, che Dio provvede, agire senza attendere che la manna cada dal cielo, per essere sempre pronti ad ogni evenienza. Invece, ognuno fa quel che può anche se apparentemente può sembrare l’esatto opposto, ha come significato proprio quello di fare il massimo che si può e poi lasciare che sia la provvidenza a darci una mano.

Significato

Hai sicuramente sentito dire più volte la provvidenza, quel che toglie, rende. Questo antico proverbio di origine popolare va ad evidenziare come tutto venga bilanciato. Tanto quanto viene dato, tanto altro andrebbe restituito. In passato, proprio per la forte fede, si credeva fosse la provvidenza a far girare questa ruota dando e togliendo in modo equilibrato. Questo proverbio veniva pronunciato anche per contrastare la pigrizia, per far capire che non tutto era dovuto e che senza un lavoro duro e costante poteva essere tolto.

Origine

Tra i tanti proverbi di saggezza popolare c’è la provvidenza, quel che toglie, rende. Il modo di dire pronunciato ancora oggi inizia ad essere utilizzato in passato quando, durante i tempi più duri, si dava grande valore al tempo, al denaro e ai rapporti. Una vita più semplice che ricorda quanto nulla sia da dare per scontato.

Psicologia urbana: un progetto fotografico

© Tim Lomas/Loop Images/Corbis

Mi alzo, mi trucco ed esco. E nel mentre raddoppio la mia età. È l’esperimento della fotografa Kyoko Hamada, 42 anni, giapponese cresciuta a New York: per due anni si è truccata come un’anziana e sotto queste false spoglie si è mischiata alla gente. Qualcuno l’ha aiutata a portare le borse della spesa, qualcuno le ha aperto una porta, ma la sensazione che più le è rimasta addosso è che a nessuno importasse davvero di lei. Anzi, le sembrava che molti non la vedessero nemmeno. Era sola. Abbiamo chiesto un commento a Daniele Durante, psicologo e formatore di caregiver per le persone anziane.

Perché gli anziani diventano invisibili?

«Domanda interessante in un Paese come il nostro, che entro il 2030 dovrebbe vedere un aumento della popolazione over 65 di oltre il 26%.

Contrariamente ad altri pregiudizi, quelli collegati alla vecchiaia acquistano vigore molto presto nella vita di un individuo. Osservo che molti giovani, a un certo punto della loro esistenza, prendono le distanze da ciò che diventeranno e dalla fase della vita che i loro genitori stanno già attraversando. La fotografa nippo-americana, con il suo progetto, sfida questa tendenza e mi sembra si rivolga a loro, perché è proprio dalla vecchiaia che i giovani e la società distolgono lo sguardo. L’accelerazione della crisi nei rapporti e il vuoto di consapevolezza sui valori che stiamo vivendo sono conseguenze delle paratie generazionali: i bambini con i bambini, gli adolescenti con gli adolescenti, gli anziani con gli anziani. A contribuire all’invisibilità degli anziani c’è poi il culto ossessivo del corpo nella società moderna; l’attenzione verso la chirurgia estetica e la cosmesi è un segno di una società iperproduttiva e pervasa dal mito dell’efficientismo; una società in cui non c’è spazio per la lentezza, per la fragilità e per l’ozio. Inoltre, non è tanto la vecchiaia a generare timori, quanto il costante e assillante confronto con l’imperativo di essere felici, godersi la vita finché ce n’è .

Dal 1960 a oggi la speranza di vita è passata da 69 a 82 anni, ma con l’aumentare dell’età non migliora la qualità della vita. Anzi si eleva il rischio che le persone anziane, nonostante la maggiore longevità, si ammalino di patologie croniche. Ed ecco un’altra paura: vecchiaia = malattia. Ed ecco un altro modo di “allontanare” gli anziani: incoraggiarli ad accogliere il convincimento che essere vecchi significhi non lavorare e ammalarsi. Infine, l’ansia e la paura associate alla morte portano a colpevolizzare gli anziani per la loro situazione. Trattando gli anziani con pietismo, rabbia, irritazione e linguaggio infantile, i più giovani s’illudono di essere indenni dal problema o di averlo esorcizzato. Questo ciclo perpetuo di denigrazione della vecchiaia favorisce il pregiudizio. Più duramente i giovani trattano i vecchi, più negativamente li percepiscono. In base a questa percezione, gli anziani finiscono per apparire peggio di quello che sono. Ciò incrementa l’ansia che i giovani hanno della morte e di conseguenza gli atteggiamenti di discriminazione verso i vecchi e la loro invisibilità. E il ciclo ricomincia».

Che cosa può fare ciascuno di noi per farli sentire meno soli?

«I detenuti e gli anziani sono i più esposti agli effetti angoscianti della solitudine. È stato osservato che, in un campione di persone dai 30 a i 70 anni che vivevano sole, il rischio di morire precocemente è 3 volte più alto rispetto a chi non si trova in questa condizione. È stato scientificamente rilevato, per esempio, un aumento della pressione sanguigna in anziani soli rispetto a chi vive in compagnia, ma anche un’elevata incidenza di malattie coronariche e l’associazione tra l’infarto al miocardio e il decesso dopo ictus se prima dell’accidente vascolare l’anziano era già in condizione di isolamento. L’inclusione sociale inizia da un processo di ascolto. L’assenza di dispositivi di narrazione di sé, che mettano gli anziani in condizione di comunicare la propria esperienza nel tentativo di aiutare i più giovani a non ripetere gli stessi errori, crea un vuoto di valori e la perdita di tante opportunità di apprendimento. "Se i vecchi potessero, se i giovani sapessero", recita un proverbio russo. La volgarizzazione della cultura, la massmedializzazione e la segregazione generazionale di cui ho parlato prima portano gli anziani a rinchiudersi in casa e a ridurre significativamente i contatti sociali. Dispositivi culturali di partecipazione come il teatro sociale, per esempio, che qui in Italia è poco diffuso ma sta producendo significativi risultati nel rompere le barriere di quartiere e l’isolamento, possono diventare uno snodo importante contro la solitudine».

La fotografa sostiene che ogni età ha la sua bellezza. Qual è la bellezza della terza età?

«Sono d’accordo con James Hillman quando sostiene che bisognerebbe proibire la chirurgia cosmetica e considerare il lifting un crimine contro l’umanità, perché nel tentativo di manipolare le manifestazioni della vecchiaia alimenta il mito dell’eterna giovinezza. Sempre Hillman sostiene che quando invecchiamo riveliamo il nostro carattere, non il fatto che siamo destinati a morire. La bellezza della “vecchiaia” sta nel vivere essendo ciò che si è. Come nel film Settimo Cielo di Dresen in cui i dialoghi sono pochi e scarni, non c’è colonna sonora, il silenzio è assordante e i primi piani la fanno da padrone. La bellezza di questa età è l’amore fine a se stesso. È vivere le passioni a una certa distanza, guardandole in prospettiva, in un’ottica non deresponsabilizzante come fanno certi giovani quando vivono nell’assoluto presente. La bellezza della vecchiaia è l’opportunità concessa, come dice Jean Cocteau, di rinascere vecchi con la stessa facilità con cui si può morire giovani».  

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Come ci si sente da vecchi?

Più duramente i giovani trattano i vecchi, più negativamente li percepiscono. In base a questa percezione, gli anziani finiscono per apparire peggio di quello che sono. Ciò incrementa l'ansia che i giovani hanno della morte e di conseguenza gli atteggiamenti di discriminazione verso i vecchi e la loro invisibilità.

Cosa provano gli anziani?

Sicuramente l'anziano sperimenta perdite o lutti che spesso sono insostituibili: morte del coniuge o di altre persone care; pensionamento e relativa perdita di ruolo; precarietà economica, riduzione del vigore fisico e dell'autonomia.

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