Cosa differenzia le donazioni dirette dalle donazioni indirette

15 Marzo 2022

Cass. civ., sez. II, 11 febbraio 2022, n. 4523

Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione interviene su un tema di grande interesse per gli operatori del diritto e non solo, tentando di fissare le coordinate circa la possibilità di un atto di opposizione ex art. 563, comma 4, c.c. avverso una donazione indiretta.

Il caso sottoposto al vaglio della Suprema Corte trae origine nel 2012, quando Tizietto citava in giudizio i genitori Tizio e Tizia rappresentando che i due, con due distinti atti di compravendita del 1972 e del 1973, avevano acquistato, in comproprietà, diverse porzioni di un immobile di pregio e chiedendo che il Tribunale adito accertasse che i due atti dissimulavano in realtà altrettante donazioni indirette del padre nei confronti della madre per le porzioni dalla medesima acquistate, atteso che, a suo dire, il prezzo per l’acquisto era stato pagato interamente dal predetto genitore con denaro proprio[1]. Precisava, inoltre, di avere già provveduto a notificare ai genitori atto di opposizione ex art. 563, comma 4, c.c. avverso i due atti da lui ritenuti donazioni indirette[2].

Si costituivano in giudizio i convenuti, eccependo, per quanto qui di interesse, l’inammissibilità della domanda per mancanza di legittimazione attiva da parte di Tizio.

Il giudice di prime cure dichiarava l’inammissibilità della domanda di simulazione.

Avverso il decisum di primo grado proponeva appello l’attore soccombente.

Il giudice del gravame, tuttavia, rigettava l’appello confermando la mancanza di legittimazione attiva dell’appellante. Secondo la Corte di appello, infatti, il Tribunale aveva correttamente governato la materia nella parte in cui aveva ritenuto che il rimedio di cui all’art. 563, u.c., c.c. si applichi soltanto alle donazioni dirette e non anche a quelle indirette[3], tra l’altro alla condizione che le donazioni in parola siano state concluse e trascritte dopo l’entrata in vigore della l. n. 80/2015.

La Corte territoriale, poi, osservava ancora che:

  1. pur ammettendo l’esperibilità dell’atto di opposizione alla donazione nei confronti di una donazione indiretta, la legitimatio ad causam mancherebbe nel caso specifico, atteso, per quanto l’art. 1415 c.c. autorizzi i terzi a far valere nei confronti delle parti la simulazione laddove essa risulti lesiva dei loro diritti, il figlio – potenziale legittimario – non avrebbe un diritto da far valere, non competendogli, prima della morte del genitore, alcun diritto sul di lui patrimonio[4];
  2. nel caso di donazione indiretta il cespite (donato) non entra mai a far parte del patrimonio del disponente, ragion per cui il legittimario i cui diritti potrebbero essere lesi da tale genere di liberalità non avrebbe comunque titolo per esercitare il rimedio previsto dall’ultimo comma dell’art. 563 c.c., che è teso ad assicurare il recupero alla massa del bene che sia stato donato a terzi dal de cuius quando era in vita[5].

Contro la sentenza della Corte di appello proponeva ricorso per cassazione Tizietto – cui resistevano, con controricorso, Tizio e Tizietta (erede della defunta TIZIA) –.

Con l’unico motivo del proprio ricorso Tizietto eccepiva che:

  1. l’azione era stata proposta ai sensi dell’art. 563 c.c., come modificato dalla l. 80/2015, e quindi la Corte di appello (e, ancora prima, il Tribunale) avrebbe dovuto ritenerla utilmente esperibile dal legittimario anche prima dell’apertura della successione del donante, in quanto, attraverso il vittorioso esperimento dell’azione di simulazione e la dimostrazione della natura di donazione indiretta di un determinato atto, egli avrebbe potuto conservare la facoltà di esercitare l’atto di opposizione alla donazione di cui all’ultimo comma dell’art. 563 c.c.;
  2. a seguito della novella del 2005, il legittimario non sarebbe più tenuto ad attendere la morte del disponente ma potrebbe, anche in vita del medesimo, agire in simulazione per far accertare la natura di donazione[6] di un atto compiuto dal disponente onde essere successivamente ammesso a notificare e trascrivere l’opposizione alla donazione;
  3. solo così sarebbe possibile beneficiare dell’effetto recuperatorio dell’azione di restituzione, la quale potrà essere esperita anche dopo il termine di venti anni dalla trascrizione della donazione soltanto a patto che sia stato utilmente trascritto un atto di opposizione alla stessa, il che presuppone il preventivo accertamento di tale natura da parte del negozio compiuto dal disponente;
  4. il nuovo strumento, inoltre, si applicherebbe non solo alle donazioni poste in essere dopo l’entrata in vigore della novella del 2005 ma anche a quelle poste in essere prima di detto momento. Oltretutto, rispetto a queste ultime, il termine di venti anni entro cui notificare e trascrivere l’atto di opposizione alla donazione decorrerebbe non dal giorno della conclusione dell’atto opposto ma da quello di entrata in vigore della riforma, atteso che, in precedenza, l’interessato non avrebbe potuto certamente utilizzarlo[7].

In buona sostanza, riportando in questa sede le parole della Suprema Corte, «l’azione proposta dall’odierno ricorrente si fonda sul presupposto, in fatto, che il compendio immobiliare oggetto dei due atti di compravendita contestati, risalenti rispettivamente al 13.12.1972 e al 19.4.1973, in virtù dei quali i suoi genitori ne avevano acquistato, in parti uguali tra loro, la piena proprietà, fosse stato, in realtà, pagato per intero con denaro di proprietà esclusiva del padre. L’intestazione della metà indivisa del bene a favore della madre, pertanto, avrebbe integrato – nell’ipotesi prospettata dall’odierno ricorrente – un atto di liberalità da parte del padre in favore della madre. Rispetto a tale donazione il ricorrente – in quanto figlio, e dunque parente in linea retta, del disponente – avrebbe titolo per esperire, anche prima dell’apertura della successione del disponente, l’azione prevista dall’art. 563 c.c., come novellato per effetto dell’entrata in vigore della l. n. 80/2005. Tale disposizione, in particolare, autorizza il coniuge ed i parenti in linea retta del disponente alla notificazione ed alla trascrizione di un atto di opposizione alla donazione, opponibile sia al donatario che ai suoi aventi causa, allo scopo di impedire il decorso del termine di vent’anni dalla trascrizione della donazione, entro il quale, a norma dell’art. 563, comma 1°, c.c., il legittimario, salva la preventiva escussione dei beni del donante, può chiedere la restituzione dell’immobile anche agli aventi causa del donatario»[8].

Prima di addivenire alla decisione definitiva gli ermellini compiono un articolato ragionamento giuridico, che, tuttavia, come vedremo più avanti, presenta qualche passaggio – ad avviso di chi scrive – non del tutto condivisibile.

In primis la Corte si sofferma sulla natura dell’opposizione ex art. 563, comma 4, c.c. Secondo la Cassazione lo strumento da ultimo introdotto dal conditor legis non assicura al legittimario una tutela reale ma gli permette solo di sperare nel perseguimento di un risultato ipotetico e futuro.

Per effetto dell’opposizione de qua, infatti, il legittimario potrà esercitare azione di riduzione anche nei confronti delle donazioni poste in essere dal suo de cuius oltre venti anni prima della propria morte e, nel caso di vittorioso esperimento e d’incapienza del donatario, agire nei confronti dei terzi acquirenti dal donatario stesso con l’azione di restituzione, di modo da ricondurre al relictum ereditario anche il bene oggetto dell’atto di liberalità. Trattasi, quindi, in buona sostanza, di un rimedio a contenuto essenzialmente cautelare, che non sortisce alcun effetto reale nel momento in cui ad esso si faccia ricorso.

La Cassazione chiude dunque la parte dedicata alla natura giuridica dell’opposizione alla donazione precisando – in maniera pienamente condivisibile ma forse anche ultronea – che in ogni caso le azioni di riduzione e restituzione presuppongono in maniera indefettibile, ai fini del loro esercizio, la morte del donante.

Tanto chiarito il giudice nomofilattico passa ad analizzare la possibilità di utilizzare l’atto di opposizione alla donazione nei casi di donazione indiretta.

La Corte esordisce quindi ricordando di aver già in passato ammesso la possibilità di esperire azione di simulazione avvero un negozio giuridico dissimulante una donazione anche prima della morte del disponente al fine di ricorrere al rimedio dell’opposizione ex art. 563 c.c.[9] e ciò in quanto, onde poter notificare e trascrivere un atto di opposizione alla donazione, il soggetto a ciò legittimato deve prima poter dimostrare la natura di donazione dell’atto in questione. In tal caso l’azione di simulazione non sarebbe ovviamente finalizzata all’esercizio di quella di riduzione o di restituzione (esperibili solo post mortem del disponente) ma esclusivamente ad ottenere una pronuncia dichiarativa che, accertata la natura donativa dell’atto, permetta di ricorrere al rimedio concesso dall’ultimo comma dell’art. 563 c.c..

Da ciò la Cassazione giunge alle seguenti conclusioni intermedie:

  1. laddove l’azione di simulazione sia volta ad accertare la natura donativa di un determinato atto al fine di esperire l’azione di riduzione o di restituzione, allora essa sarà esperibile solo post mortem del disponente;
  2. laddove l’azione in parola sia il logico presupposto dell’atto di opposizione alla donazione, la sua esperibilità viene anticipata a prima della morte del disponente, non essendo altrimenti possibile, per i legittimati, provvedere alla notificazione ed alla trascrizione dell’atto de quo.

Tuttavia, così come l’intento liberale può essere raggiunto dalle parti a mezzo di una donazione simulata, allo stesso modo esso «può, in concreto, essere realizzato mediante la messa a disposizione, da parte del disponente, di una somma di denaro necessaria a consentire, da parte del ricevente, l’acquisto di un bene immobile»[10]. In questa evenienza, scrive il giudice nomofilattico, occorrerà distinguere il caso in cui oggetto della donazione sia il denaro, che il donatario abbia successivamente eventualmente utilizzato per acquistare l’immobile – il che è una tipica fattispecie di donazione diretta del denaro –, da quello in cui il donante fornisca il denaro con lo scopo preciso di permettere al donatario l’acquisto di un certo immobile – il che è una tipica fattispecie di donazione indiretta dell’immobile, esistendo un collegamento diretto tra elargizione della somma ed acquisto del bene[11] –. In quest’ultima ipotesi, secondo la Corte, sarebbe possibile un atto di opposizione alla donazione, in quanto, essendo oggetto della donazione (indiretta) non il denaro ma un immobile, l’opposizione sarebbe validamente trascrivibile nei registri immobiliari (ed avrebbe senso un’azione di restituzione).

A questo punto giunge uno dei passaggi della sentenza che sarà, di qui a breve, oggetto di ulteriore approfondimento.

Ad avviso degli ermellini, nel secondo dei casi sopra descritti, «per poter esercitare l’azione di accertamento della natura simulata di un negozio dispositivo avente ad oggetto un immobile, in funzione dell’esperimento del rimedio di cui all’art. 563, comma 4, c.c., a sua volta finalizzato al successivo avvio della domanda di restituzione ex art. 563, comma 1°, c.c., l’attore è tenuto a dimostrare che la liberalità indiretta abbia avuto ad oggetto direttamente il bene, e non invece il denaro […]. In linea teorica, quindi, l’azione di simulazione di un contratto dissimulante una donazione di un bene immobile può essere esperita, dal coniuge o dal parente in linea retta del disponente, anche prima dell’apertura della successione di quest’ultimo, allo specifico scopo di consentire l’opposizione di cui all’art. 563, comma 4, c.c. e di rendere, in futuro, possibile l’esperimento della domanda di restituzione del bene donato di cui all’art. 563, comma 1°, c.c.»[12].

Dopo aver provveduto a fornire tutti questi chiarimenti in punto di diritto, la Corte addiviene comunque al rigetto del ricorso osservando che, a prescindere da tutto, la domanda del ricorrente non poteva essere accolta in quanto l’atto di opposizione alla donazione previsto dall’ultimo comma dell’art. 563 c.c. è utilizzabile, nel caso di donazioni compiute prima della data di entrata in vigore della novella del 2005, solo nel caso, a detta data, le donazioni siano state trascritte da non oltre un ventennio. Atteso che nel caso di specie i negozi posti in essere dai genitori del ricorrente risalivano al 1972 e al 1973 e che il ricorrente aveva agito in giudizio soltanto nel 2012 (senza aver mai potuto provvedere all’opposizione prima che trascorressero venti anni dagli atti stessi), la sentenza che avesse accertato la natura di donazione indiretta dei negozi de quibus sarebbe stata inutiliter data, in quanto, essendo ormai trascorsi quarant’anni dalla trascrizione delle compravendite – pretese donazioni simulate, Tizietto non avrebbe comunque potuto utilizzare l’atto di opposizione alla donazione.

Nell’addivenire a questa conclusione la Cassazione non manca di dettare il seguente principio di diritto: «In definitiva, va affermato che l’opposizione di cui all’art. 563, comma 4, c.c., è esperibile, in relazione alle donazioni compiute dal disponente e potenzialmente lesive dei diritti del legittimario, anche prima dell’apertura della successione del primo. Quando essa ha ad oggetto un atto di liberalità indiretta, inoltre, il legittimario è titolato ad agire per ottenere l’accertamento della natura simulata del negozio dissimulante la liberalità potenzialmente lesiva delle sue aspettative. Tuttavia, poiché l’azione di restituzione prevista dall’art. 563, comma 1°, c.c., è ammessa soltanto qualora non siano decorsi vent’anni dalla trascrizione della donazione, e considerato che l’opposizione di cui al quarto comma del richiamato art. 563 c.c. è tesa ad assicurare, in favore del coniuge o parente in linea retta del disponente, unicamente la sospensione del termine ventennale di cui al primo comma, l’esercizio della stessa non è consentito in relazione ad atti di liberalità, diretti o indiretti, che siano stati trascritti da oltre venti anni. Non avrebbe, infatti, alcun senso logico ipotizzare, a favore del legittimario, l’esercizio di uno strumento cautelare finalizzato all’esperimento di una domanda non più proponibile»[13].

Seppur le conclusioni cui addiviene la Corte in punto di natura giuridica dell’atto di opposizione alla donazione, di sua applicabilità per le donazioni ante riforma del 2005 e di opponibilità di una donazione indiretta siano senz’altro condivisibili – atteso che, così facendo, si è sostanzialmente bilanciata la tutela dell’interesse alla circolazione dei beni immobili (inapplicabilità per le donazioni ante riforma trascritte da oltre un ventennio) e quella dell’interesse dei legittimari a non veder ledere la propria quota di legittima a mezzo di donazioni indirette (utilizzabilità del rimedio anche avverso gli atti di liberalità diversi dalla donazione) –, vi è un punto che, ad avviso di chi scrive, dimostra un erroneo inquadramento della fattispecie.

Il riferimento è alla parte in cui la Suprema Corte ritiene che è possibile esperire l’azione di simulazione per accertare la natura simulata della donazione indiretta avente ad oggetto un bene immobile. Salvo che si tratti di plurimi lapsus calami, sembra che gli ermellini abbaino confuso l’istituto della donazione (dis)simulata con quello della donazione indiretta.

Valga ricordare che la simulazione, disciplinata dagli artt. 1414 ss. c.c., viene generalmente distinta dalla dottrina e dalla giurisprudenza in simulazione assoluta (art. 1414, comma 1°, c.c.) e relativa (art. 1414, comma 2, c.c.).

La prima ricorre laddove le parti abbiano stipulato tra loro un contratto di cui non vogliono nessuno degli effetti: in tal caso, ai sensi dell’art. 1414, comma 1°, c.c.: «Il contratto simulato non produce effetto tra le parti».

La seconda ricorre invece quando le parti, pur avendo stipulato un contratto riferibile ad un certo tipo negoziale (contratto simulato), vogliono in realtà che si producano tra loro gli effetti di un negozio diverso (contratto dissimulato). In tal caso, ai sensi dell’art. 1414, comma 2, c.c., il secondo negozio produce tra esse gli effetti suoi propri, purché ne sussistano i requisiti di sostanza e di forma.

Per fare un esempio, si pensi a Tizio e Caio che stipulano tra loro una compravendita (contratto simulato) volendo tuttavia che tra le parti si producano gli effetti di una donazione diretta (contratto dissimulato): affinché ciò sia possibile è necessario che la compravendita presenti i requisiti di sostanza e di forma della donazione e quindi ch’essa sia stipulata nella forma dell’atto pubblico alla presenza di due testimoni, che sussista l’animus donandi e che il (simulato)venditore-(dissimulato)donante non riscuota il prezzo della compravendita dal (simulato)acquirente-(dissimulato)donatario.

È quest’ultimo il caso di “donazione simulata” che rappresenta l’id quod plerumque accidit. Naturalmente potrebbe anche darsi che le parti stipulino tra loro una donazione diretta accordandosi, però, affinché il negozio non produca tra loro alcun effetto. In tal caso si parla di “donazione simulata” stricto sensu intesa, ma non è questa la fattispecie di nostro interesse nel caso della sentenza in commento.

A differenza della donazione (diretta) (dis)simulata, la donazione indiretta – disciplinata, seppur in maniera assai lasca, dall’art. 809 c.c. – rientra nella categoria delle liberalità non donative e consiste in una liberalità attuata non con il contratto di donazione ma con altro strumento negoziale avente scopo tipico diverso dalla c.d. causa donandi e ciononostante in grado di produrre, insieme con l’effetto suo tipico, quello indiretto di arricchimento senza corrispettivo, voluto per spirito liberale da una parte a favore dell’altra.

Classico esempio è quello della compravendita in cui intervengono entrambi i coniugi (in separazione dei beni) e, nonostante l’acquisto avvenga da parte di entrambi, uno solo di essi paghi l’intero prezzo con denaro personale (proprio, cioè, il caso di cui alla fattispecie concreta rimessa al giudizio del giudice nomofilattico)[14].

Naturalmente elemento indefettibile perché possa parlarsi di donazione indiretta è che l’arricchimento conseguito da una parte (nel caso de quo, il mancato pagamento del corrispettivo da parte di uno dei coniugi) sia caratterizzato dall’animus donandi dell’altra: cioè significa che si sarà dinanzi ad una donazione indiretta solo ove l’arricchimento di una parte sia frutto di una volontà liberale dell’altra; in mancanza di tale requisito non avremo una donazione indiretta e la giustificazione dell’arricchimento della parte beneficiaria sarà da ricercare altrove (ad es.: nella volontà del coniuge che ha pagato il prezzo di estinguere un suo debito esistente nei confronti dell’altro).

Enorme è dunque la differenza tra il caso di donazione (relativamente) simulata (o, meglio dissimulata) e donazione indiretta[15]:

  1. nel primo caso, le parti pongono in essere un negozio apparentemente diverso (e di regola oneroso; negozio simulato) il quale, tuttavia, in virtù dell’accordo simulatorio tra le stesse intervenuto, non dovrà produrre tra loro alcun effetto ed il quale è volto solo a dissimulare l’esistenza di una donazione diretta di una in favore dell’altra, l’unico negozio che dovrà avere qualche effetto. I contraenti, dunque, vogliono che tra loro si producano gli effetti di una donazione diretta e tali effetti essi raggiungono proprio tramite una donazione diretta, seppur dissimulata da un altro negozio, che però non produce nessun effetto (e che dunque è tamquam non esset);
  2. nel secondo caso, le parti pongono invece in essere un negozio diverso dalla donazione diretta, con il quale, sussistendo l’animus donandi di una di esse, raggiungono in parte anche uno scopo diverso da quello tipico del negozio cui hanno fatto ricorso, uno scopo liberale, corrispondente a quello di una donazione tipica, senza però giammai porre in essere una donazione diretta.

Rebus sic stantibus – ad avviso di chi scrive – la posizione della Cassazione dovrebbe essere parzialmente “rivista”, in modo da evitare che possano ingenerarsi errori circa la reale portata della pronuncia.

Seppur, nel caso di specie, dall’accoglimento della domanda del ricorrente da parte di una delle corti di merito non sarebbe potuto conseguire alcun effetto concretamente utile – essendo comunque condivisibile che l’atto di opposizione debba essere notificato e trascritto entro il termine di venti anni dalla trascrizione della donazione opposta ed avendo nel caso de quo Tizietto agito ben oltre lo spirare del ventennio –, non mi pare potersi aderire alla tesi, fatta propria dalla Cassazione nella decisione in commento, secondo la quale, per utilizzare l’atto di opposizione ex art. 563, comma 4, c.c. nei confronti di una donazione indiretta avente ad oggetto un diritto reale immobiliare, il (potenziale) legittimario interessato debba prima esperire l’azione di simulazione, che costituirebbe il logico presupposto dell’opposizione de quo, permettendo di accertare la natura di donazione dell’atto cui ci si intende opporre.

Punctum dolens della sentenza in argomento, infatti, è che la fattispecie sottoposta al vaglio della Suprema Corte non era una donazione simulata, possibile oggetto quindi di un’azione di simulazione, ma una donazione indiretta, avverso la quale l’azione di simulazione non è esperibile, non essendoci nulla di “simulato” nei negozi compiuti dai genitori dell’attore in primo grado. All’atto della stipula, infatti, il marito, pagando con proprio denaro anche la parte di prezzo dovuta dalla moglie, aveva indirettamente donato a quest’ultima una parte del diritto di proprietà degli immobili compravenduti ma giammai le parti avevano poste in essere una donazione (dis)simulata.

Dalle parole della Cassazione, indipendentemente dalla confusione tra istituti giuridici, parrebbe in ogni caso potersi desumere che l’atto di opposizione alla donazione sia utilizzabile anche nei confronti di una donazione indiretta.

Tuttavia, atteso che la Corte, confondendo la donazione indiretta con quella simulata (o forse, il che non è da escludere, ritenendo di poter ricondurre la prima nell’alveo della seconda), scrive espressamente che è necessario «esercitare l’azione di accertamento della natura simulata di un negozio dispositivo avente ad oggetto un immobile, in funzione dell’esperimento del rimedio di cui all’art. 563, comma 4, c.c. [e che ricade sull’attore l’onere di; n.d.A.] dimostrare che la liberalità indiretta abbia avuto ad oggetto direttamente il bene, e non invece il denaro[16]», non è fino in fondo dato capire se effettivamente la pronuncia oggetto del presente scritto abbia di fatto ampliato l’ambito applicativo dell’opposizione alla donazione anche alle donazioni indirette sic et simpliciter – nel senso che l’interessato legittimato a proporre opposizione possa notificare l’atto ed ottenerne la trascrizione anche a fronte di un qualunque negozio egli ritenga costituire una donazione indiretta, senza necessità di provare la natura liberale del trasferimento – oppure sia comunque necessario, almeno ai fini della trascrizione (che è poi la parte fondamentale della fattispecie legislativa, trattandosi in questo caso di pubblicità costitutiva[17]), che l’interessato dia prova del fatto che col negozio al quale intende opporsi sia stata posta in essere una donazione indiretta.

In questo secondo caso, tuttavia, è dubbio quando e a chi l’interessato dovrebbe fornire questa prova. Magari in sede giurisdizionale a seguito di ricorso al giudice ai sensi dell’art. 745 c.p.c. a fronte del rifiuto del Conservatore dei Registri Immobiliari di trascrivere l’atto di opposizione, ma, atteso che in quella sede, di regola, non viene nemmeno istaurato il contraddittorio ma solo sentito il P.M. e che solo in rari casi viene sentito anche il Conservatore[18], la cosa appare alquanto discutibile.

Ad avviso di chi scrive, la sentenza in commento altro non rappresenta che una “occasione persa” per la Suprema Corte, la quale, nonostante Tizietto avesse agito ben oltre il termine ventennale ed in ogni caso la domanda di accertamento della simulazione non potesse essere accolta (non ricorrendo, nella fattispecie de qua, nessuna simulazione), avrebbe tuttavia potuto, qualificando correttamente il caso concreto, pronunciarsi sulla possibilità di opposizione alla donazione indiretta, chiarendo, naturalmente, in caso di risposta positiva, se sia da ritenere preventivamente necessario, per l’opponente, fornire la prova dell’esistenza della donazione indiretta e, laddove lo sia, con quale strumento giuridico esattamente egli dovrebbe farlo. Ad oggi, invece, date le criticità che caratterizzano la pronuncia qui commentata, è mia opinione che non sia possibile predicare lo sdoganamento dell’atto di opposizione alla donazione nella fattispecie di donazione indiretta.

[1] Atteso che, almeno da quanto è dato leggere nel decisum della Corte, non è mai venuto in discussione l’argomento della comunione legale dei beni, c’è da ritenere che i due coniugi, almeno al tempo dell’acquisto, si trovassero in regime di separazione dei beni e che non avessero quindi optato per un regime diverso da quello che, illo tempore, era il regime patrimoniale legale della famiglia (divenuto, poi, comunione legale dei beni solo con la riforma apportata dalla l. 19 maggio 1975, n. 151).

[2] Non è però dato comprendere s’egli, successivamente, ne avesse anche richiesta la trascrizione e quindi se il Conservatore dei Registri Immobiliari avesse provveduto alla trascrizione o l’avesse rifiutata.

[3] In tal senso già Cass. civ., 12 maggio 2010, n. 11496. Ancora prima, in dottrina, CNN, Studio n. 5809/C, L’atto di “opposizione” alla donazione (art. 563, comma 4, codice civile), a cura di A. Busani, in Notariato.it, 9 ss., il quale riteneva che ammettere l’opposizione alla donazione indiretta sia una posizione «francamente eccessiva» e con «evidenti e non contestabili connotati di intollerabilità».

[4] Diritto che, quale legittimario, potrebbe competergli successivamente alla morte del genitore, con conseguente possibilità di esperire azione di riduzione.

[5] Già in questo passaggio, in realtà, sarebbe ravvisabile un errore, nonostante non si comprenda se lo stesso sia riferibile alla Corte di appello o alla Cassazione o si tratti semplicemente di un modo poco chiaro di riportare le statuizioni del giudice del gravame. Non è vero, infatti, che l’istituto di cui all’ultimo comma dell’art. 563 c.c. sia teso a recuperare al patrimonio ereditario di un bene della vita; a ciò è volta l’azione di restituzione ma non l’atto di opposizione alla donazione.

[6] Non è dato capire dalla sentenza in commento se, in questo passaggio, il ricorrente facesse riferimento ad una donazione diretta o indiretta.

[7] Contra, però, già CNN, Studio n. 5809/C, L’atto di “opposizione” alla donazione (art. 563, comma 4, codice civile), cit., 38: «nel caso c) (donante vivo, donazione ultraventennale), il diritto di “opposizione” alla donazione appare precluso e quindi, in caso di lesione della legittima, il legittimario non disporrà del rimedio dell’azione di restituzione, pur potendosi avvalere (fino a sua prescrizione) dell’azione di riduzione».

[8] Così testualmente la sentenza in commento.

[9] Cass. civ., 9 maggio 2013, n. 11012.

[10] Così testualmente la sentenza in commento.

[11] Cass. civ., 5 agosto 1992, n. 9282; Cass. civ., 29 maggio 1998, n. 5310; Cass. civ., 22 settembre 2000, n. 12563; Cass. civ., 30 maggio 2017, n. 13619.

[12] Così testualmente la sentenza in commento.

[13] Così testualmente la sentenza in commento.

[14] V., da ultimo, Cass. civ., 14 luglio 2021, n. 20062, secondo cui: «In caso di acquisto “pro indiviso” di un immobile effettuato da due conviventi “more uxorio”, il maggior apporto di uno dei due co-acquirenti nella corresponsione, direttamente a mani del creditore, degli acconti e delle rate del mutuo, deve presumersi avvenuto, per la parte eccedente la sua quota, a titolo di liberalità nei confronti dell’altro […] sicché esso si configura quale donazione indiretta […]». Per la giurisprudenza di merito, v. Trib. Ravenna, 17 ottobre 2019, in Fam. dir., 2020, 847 ss., con nota di F. SPOTTI, L’elargizione di denaro a scopo di acquisto, come liberalità atipica, e l’obbligo di collazione: «La donazione indiretta di immobile è configurabile ogni qualvolta, per spirito di liberalità ed utilizzando un negozio diverso dalla donazione, una somma di danaro di pertinenza del donante venga utilizzata per acquistare, in favore del donatario, un bene immobile, al medesimo facente capo».

[15] Da ultimo Cass. civ., 30 ottobre 2020, n. 24040, in Corr. giur., 2021, 8-9, 1100 ss., con nota di C. GABBANELLI, Caratteri della donazione indiretta e differenza con il negozio simulato: «La donazione indiretta è un contratto con causa onerosa, posto in essere per raggiungere una finalità ulteriore e diversa consistente nell’arricchimento, per mero spirito di liberalità, del contraente che riceve la prestazione di maggior valore; differisce dal negozio simulato in cui il contratto apparente non corrisponde alla volontà delle parti, che intendono, invece, stipulare un contratto gratuito. Ne consegue che a essa non si applicano i limiti alla prova testimoniale – in materia di contratti e simulazione – che valgono, invece, per il negozio tipico utilizzato allo scopo».

[16] Così testualmente la sentenza in commento.

[17] Così G. PETRELLI, Opposizione alla donazione, in Rassegna delle recenti novità normative di interesse notarile – Primo semestre 2005, in Notartel.it; CNN, Studio n. 5809/C, L’atto di “opposizione” alla donazione (art. 563, comma 4, codice civile), cit., 19.

[18] In questa ipotesi egli viene sentito in contraddittorio con il ricorrente.

SCARICA DOCUMENTO IN PDF
Tag:#art.563c.c., #azionedisimulazione, #donazioneindiretta, #opposizione

Pacini Editore Srl
via Gherardesca 1, 56121 Pisa • cod.fisc, p.iva, reg.imp.prov.pi 00696690502 • Cap.soc.iv. 516.000 euro
Copyright © 2016. All Rights Reserved.

Cookie Policy | Privacy policy | Credits

Cosa si intende per donazione indiretta?

Quando un soggetto, senza donare direttamente il denaro all'acquirente in sede di compravendita, paghi in luogo dello stesso il prezzo di acquisto, si verificherà una donazione indiretta.

Cosa si intende per donazione diretta?

L'art. 769 c.c. individua l'ipotesi della donazione diretta, ossia del contratto stipulato dal donante direttamente a favore del donatario. Per la stipula di questo tipo di contratto dovranno essere rispettate tutte le prescrizioni previste dalla legge in materia di donazione, prima fra tutte quella contenuta nell'art.

Quando non è dovuta l'imposta di donazione indiretta?

In caso di donazioni indirette, l'imposta di donazione non si applica nei casi di donazioni o di altre liberalità collegate ad atti concernenti il trasferimento di diritti immobiliari o aziende se per essi sia prevista l'applicazione dell'imposta di registro, in misura proporzionale, o dell'imposta sul valore aggiunto.

Come si prova una donazione indiretta?

Alla base della prova della donazione indiretta c'è la prova dell'esistenza dell'animus donandi del donante. Con la prova si individua la disciplina applicabile al negozio giuridico che differisce a seconda si tratti di donazione diretta o indiretta. L'animus donandi è lo spirito di liberalità che muove il donante.