In questa sezione sono raccolti alcuni quesiti che frequentemente vengono rivolti agli esperti, sui vari aspetti riguardanti la violenza, tra i quali puoi trovare risposta alle domande che anche tu ti sei fatta. Show
Indice dei contenuti della FAQ Dinamiche della ViolenzaLe Conseguenze della ViolenzaDenuncia e Tutela della SicurezzaModalità e tipologia di sostegno dei centri antiviolenzaIl sostegno ai maltrattantiPost-denuncia: problemi e tutela della donna e dei minori Il fenomeno della violenza sulle donne, a differenza di quanto – forse superficialmente – si ritiene, non è circoscritto alle realtà definite ‘disagiate’ o ‘chiuse’: è un fenomeno drammatico e diffuso in maniera assolutamente trasversale rispetto all'età,
etnia, credo religioso, ceto sociale di appartenenza, ecc... Spesso sono proprio le dinamiche della violenza subita ad indurre la donna ad una sorta di immobilismo, alimentato dalle promesse del partner di cambiare, dal timore di generare un’escalation di violenza, da insostenibili sensi di colpa dovuti alla convinzione di ‘essersi meritate’ quelle punizioni e dalla sensazione di non disporre delle risorse per affrontare il cambiamento necessario. Il messaggio che passa attraverso la violenza psicologica è
che chi ne è oggetto è una persona priva di valore. Ciò induce in qualche modo la donna che la subisce ad accettare in seguito anche comportamenti violenti. Subire violenza è un'esperienza traumatica che produce effetti diversi a seconda del tipo di violenza subita e della persona che ne è vittima. Le conseguenze possono essere molto gravi ed è necessario considerare che la degenerazione di alcune situazioni dipende spesso dal tipo di risposta che una donna riceve nel momento in cui chiede aiuto all'esterno, dal sostegno o mancato sostegno che ha trovato nei familiari non abusanti, nelle amiche o nei
professionisti. La violenza provoca profonde conseguenze fisiche, psichiche, alcune con esito fatale.. Il percorso di ricerca di
aiuto può essere lungo e difficile. Ogni donna è diversa, ciascuna ha una propria soglia di tolleranza della violenza e si trova ad agire in contesti differenti. Se la donna non è pronta a denunciare il maltrattante e se sussiste coinvolgimento emotivo della vittima si può provare a richiedere, prima della denuncia, l'AMMONIMENTO DEL QUESTORE (provvedimento amministrativo). Denunciare una violenza subita è un atto che richiede tantissimo coraggio per
affrontare lucidamente un dramma così grande. La scelta è difficile perché spesso la donna che ha subito violenza si sente sola, priva di appoggio, di ascolto e di risorse. Nel caso si scelga di rivolgersi, magari accompagnate e supportate dal Centro Antiviolenza, presso le Forze dell’ordine, quest’ultime segnaleranno l'autore alla Procura della Repubblica e si farà un processo. Assolutamente no. É importante ricordare che la violenza produce effetti e conseguenze gravissime non solo sulla donna ma anche sui figli, sia che siano essi stessi maltrattati, sia che semplicemente assistano agli episodi di violenza (violenza assistita). Al fine di ottenere l’allontanamento è importante denunciare il maltrattante oppure deve essere sorpreso in flagranza della violenza domestica e/o di atti persecutori. Certo, le Forze dell’Ordine sono inoltre, tenute all'applicazione del regolamento di disciplina (quindi in maniera più severa applicando contemporaneamente sia la legge penale che quella disciplinare interna). I tempi della magistratura sono abbastanza brevi per le misure cautelari e quelli della Polizia per l'ammonimento ancora più celeri. Il denunciato sarà invitato a nominare un avvocato e inizieranno le indagini per accertare i fatti denunciati. Chi commette stalking (atti persecutori art. 612 bis c.p.) commette atti reiterati (quindi più volte azioni di qualsiasi genere (anche non violente) destinate, però, a molestare e controllare la vittima e che producono nella stessa stati di ansia o timore per l'incolumità propria e/o dei propri familiari. Dopo una denuncia per atti persecutori è possibile l'arresto del responsabile se colto in flagranza di atti persecutori o di violenza domestica. I centri
antiviolenza svolgono ormai da trent’anni un insieme di attività finalizzate al contrastodella violenza e al sostegno diretto delle donne che la subiscono. In questi luoghi équipe multidisciplinari composte da professioniste accolgono gratuitamente le donne, con o senza figli, che hanno subito violenza, supportandole nei loro percorsi di uscita dalla violenza attraverso: l'accoglienza telefonica, l'accoglienza personale, l'ospitalità in case rifugio, l’elaborazione complessiva del progetto
individuale di uscita dalla violenza. In particolare si precisa che la consulenza legale è realizzata da avvocate esperte in violenza di genere al fine di rendere ogni donna più consapevole dei propri diritti e delle possibili azioni da intraprendere in sua tutela. Indipendentemente dal percorso di uscita che la donna intraprenderà, l’accoglienza, realizzata dall’operatrice d’accoglienza gioca un ruolo fondamentale. Ciò che qualifica l’accoglienza è la capacità di utilizzare le informazioni in modo da facilitare la verbalizzazione del disagio, attraverso la lettura della richiesta di aiuto, favorendo l’esplicitazione dei bisogni della donna ed indirizzandola all’utilizzazione delle risorse. I centri antiviolenza lavorano in rete con i servizi e le Istituzioni territoriali, pertanto, all’interno dei percorsi di uscita individualizzati è previsto (secondo le esigenze della donna) il raccordo e/o l’accompagnamento presso le Forze dell’Ordine., presso i servizi sanitari d’urgenza, ovvero Pronto Soccorso( e altri servizi in rete). I motivi che spingono una donna a non denunciare le violenze subite sono tantissimi, e molto delicati: la paura per se stessa e per i suoi figli, la vergogna, la mancanza di mezzi economici, la riprovazione della famiglia o della comunità, e talvolta il senso di confusione e di smarrimento che seguono la violenza subita da un compagno o, peggio, da un familiare. Anche in Italia, nell’ultimo decennio, sono stati avviati e in alcuni casi si sono strutturati, centri d’ascolto per maltrattanti, quali servizi di prima accoglienza e presa in carico di uomini che hanno deciso di intraprendere un percorso di cambiamento rispetto alla propria violenza. I programmi del Centro d’ascolto uomini maltrattanti si basano su due principi:
I Centri d’ascolto uomini maltrattanti organizzano gruppi psicoeducativi per uomini maltrattanti, condotti da due facilitatori, un uomo e una donna. In Abruzzo , ad oggi , non esistono centri per l’ascolto e il recupero dei maltrattanti, ma all’interno dei Servizi pubblici e privati aderenti alle Reti Antiviolenza territoriali, vi sono i consultori pubblici e privati, cui è possibile inviare richieste di questo tipo. Il comportamento violento e di controllo degli uomini raramente si ferma da solo; per fare questo la maggior parte degli uomini ha bisogno supporto e assistenza adeguati. È importante però non basare la decisone di lasciare o restare con un partner violento sul fatto che lui partecipi o meno ad un programma di ascolto/recupero. Infatti, partecipare ad un gruppo per uomini maltrattanti NON è una garanzia di cambiamento. Alcuni uomini smettono di essere violenti e
controllanti con le loro partner. Altri potrebbero interrompere l'uso della violenza fisica, ma, continuare ad usare altre forme di abuso o di controllo. Bisogna fare attenzione nel distinguere il conflitto familiare dalla violenza domestica. Quando il rapporto è in crisi, ci sono molti motivi di conflitto (tutte le coppie possono essere in disaccordo!), ma questi sono aspetti secondari rispetto alla violenza, che invece si esplica in modo prevalentemente unilaterale con un crescendo di gravità nel tempo. Nel primo caso, è possibile tentare una terapia di coppia (o mediazione) che si basa su entrambe le parti poiché presuppone una distribuzione paritaria del potere all’interno della coppia stessa. Ma se il tuo partner ti maltrattata e/o agisce violenza (da quella psicologica a quella economica) la terapia di coppia non è adeguata. Molto spesso la violenza perpetrata nei confronti di una donna coinvolge l’intera famiglia, ripercuotendosi sui figli, anch’essi vittime, o indirettamente, perché meri “osservatori”, o, nei casi più gravi, vittime vere e proprie di violenza diretta anche nei loro confronti. La Legge 119 del 2013, ha previsto un’aggravante, nell’ipotesi di reato di maltrattamenti in famiglia, quando il fatto è commesso in presenza o in danno di un minore. Così anche la sola presenza del minore viene riconosciuta pregiudizievole per la tranquillità e la personalità dello stesso. Va da sé che una querela in tal senso, ha un peso fondamentale nell’ambito di una causa civile per la separazione dei coniugi. Si deve considerare, infatti, che oggi il regime ordinario è quello dell’affidamento condiviso dei figli minori, il che significa, in parole molto semplici, che alla madre ed al padre sono riconosciuti pari diritti e pari doveri ed il tempo trascorso dai figli con i genitori è il medesimo. I genitori sono coinvolti nella vita dei figli nello stesso modo. Una denuncia di violenza, invece, consente alla donna di poter richiedere l’affidamento esclusivo dei figli, evitando che gli stessi debbano trascorrere con il padre lo stesso tempo che trascorrono con la madre, evitando così i pernottamenti presso il padre, le vacanze con il padre ecc…Non si deve pensare che un uomo che picchia una donna possa essere un buon padre. Generalmente al coniuge economicamente più debole viene riconosciuta l’assegnazione della casa familiare, dove pertanto potrà continuare a vivere unitamente ai figli ed un sostegno economico. Naturalmente l’ammontare dello stesso dipende dal guadagno del coniuge economicamente più forte, dalle spese fisse (mutui, finanziamenti, canoni di locazione ecc…) e da altre varianti. Si consideri, comunque, che ambedue i coniugi sono tenuti a contribuire al mantenimento dei figli, ciascuno in base alle proprie risorse ed alle proprie disponibilità Con il provvedimento che dispone l’allontanamento il Giudice prescrive all’imputato di lasciare immediatamente la casa familiare, ovvero di non farvi rientro, e di non accedervi senza l’autorizzazione del Giudice che procede. L’eventuale autorizzazione può prescrivere determinate modalità di visita. Il Giudice, qualora
sussistano esigenze di tutela dell’incolumità della persona offesa o dei suoi congiunti può prescrivere all’imputato di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa (luogo di lavoro, domicilio suo e dei congiunti). Sul punto la Legge 119/2013 ha introdotto importanti modifiche, tra cui l’arresto obbligatorio in flagranza, nell’ipotesi di reato di maltrattamenti in famiglia ed altra novità riguarda la misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare, consentito anche relativamente al reato di minaccia aggravata e di lesioni personali nelle ipotesi procedibili d’ufficio o comunque aggravate e tale misura potrà essere accompagnata dall’imposizione del tanto chiacchierato braccialetto elettronico, che comunque funge sicuramente da deterrente. La gestione del rapporto tra il genitore maltrattante ed il figlio è molto variabile. Ci sono uomini maltrattanti che le donne descrivono come ottimi padri e uomini maltrattanti dai quali sarebbe bene tenere a distanza i figli il più possibile. In caso di querela, come detto, è molto probabile che un Giudice, sentiti i servizi sociali, decida di affidare i figli alla madre, limitando le visite al padre o regolandole (magari stabilendo la presenza dei servizi). Quanto dura un processo penale per maltrattamenti in famiglia?Quanto durano le indagini per il reato di maltrattamenti in famiglia? Il legislatore ha fissato i termini di durata delle indagini in 6 mesi, che decorrono dalla annotazione nel registro del reato (335). Il termine è di 1 anno per ipotesi delittuose di particolari gravità.
Quanto tempo passa da una denuncia al processo?Quanto tempo passa da una denuncia al processo? Insomma: dalla data di emissione del decreto che dispone il giudizio a seguito di udienza preliminare e il giudizio stesso devono trascorrere almeno venti giorni.
Cosa si rischia per maltrattamenti?La pena per i maltrattamenti in famiglia
se dal fatto deriva una lesione personale grave è prevista la reclusione da quattro a nove anni. se dal fatto deriva una lesione personale gravissima è prevista la reclusione da sette a quindici anni.
Chi punisce i maltrattamenti giudice penale?Il reato di maltrattamenti in famiglia è una norma del codice penale che punisce chiunque maltratta un familiare o un convivente ovvero un soggetto sul quale esercita un'autorità ad esempio per ragioni di lavoro, di status sociale ovvero su una persona che gli è stata affidata per altre ragioni previste dalla norma.
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